Stili di apprendimento: un mito da sfatare
Partendo dall’assunto che ogni individuo abbia un modo preferito per imparare, nel corso del tempo si sono venuti a creare molti dibattiti sugli stili di apprendimento e sulla loro efficacia. Alcuni studi si sono spinti fino alla misurazione puntuale del risultato derivante dall’applicazione di uno stile piuttosto che di un altro. Nell’articolo che segue cercheremo di riassumere in modo critico le teorie più diffuse su questo argomento, da sempre molto controverso.
Il presupposto su cui si basano le diverse teorie è che le persone abbiano, a livello più o meno consapevole, una modalità preferita di apprendimento e che questa modalità sia, per loro, la più efficace.
Molti studiosi hanno trasportato nel mondo della formazione le note teorie sulla comunicazione di Albert Mehrabian, arrivando alla conclusione, spesso forzata, che esistono tre principali modalità e canali di apprendimento: auditivo, paraverbale (o visivo) e cinestesico. Ad ognuna delle tre modalità di apprendimento viene attribuita una percentuale che rappresenta il livello di efficacia.
Nel corso del tempo, oltre a questo, sono stati proposti diversi modelli, ognuno con una propria serie di categorie o dimensioni. Ad esempio, il modello VARK, sviluppato da Neil Fleming negli anni Ottanta, identifica quattro diversi stili di apprendimento: visivo, uditivo, di lettura/scrittura e cinestesico. Secondo questo modello, le persone che preferiscono lo stile di apprendimento visivo imparano meglio vedendo e osservando gli oggetti, come diagrammi, grafici e video. Chi preferisce lo stile di apprendimento uditivo impara meglio ascoltando lezioni o discussioni. Quelli che preferiscono lo stile di apprendimento scritto e letto imparano meglio leggendo e scrivendo, mentre quelli che preferiscono lo stile di apprendimento cinestesico imparano meglio facendo e sperimentando le cose con le mani. Occorre, però, considerare che molti individui possono imparare attraverso l’utilizzo di più stili di apprendimento e, di conseguenza, diventa difficile essere così rigidi nell’assegnare uno stile piuttosto che un altro. Inoltre, non esistono prove empiriche sul fatto che abbinare uno stile di insegnamento ad uno stile di apprendimento sia così efficace.
Il famoso modello proposto da Kolb, forse il più conosciuto nel mondo della formazione degli adulti, identifica quattro diversi livelli di apprendimento: esperienza concreta, osservazione riflessiva, concettualizzazione astratta e sperimentazione attiva. Secondo questo modello, il percorso di apprendimento è circolare e, a prescindere dalle preferenze individuali, deve seguire queste precise tappe, che si ripetono fino al perfezionamento del contenuto appreso. Dunque, ci troviamo di fronte ad un modello che si rivolge contemporaneamente a chiunque, a prescindere dallo stile di apprendimento.
Il modello Myers-Briggs (MBTI), si basa sulla valutazione dei discenti, identificando quattro dimensioni della loro personalità: estroversione contro introversione, intuito contro intuizione, pensiero contro sentimento e giudizio contro percezione. Secondo questo modello, gli individui possono avere una preferenza per una di queste dimensioni e l’adattamento dei metodi di insegnamento al tipo di personalità di un individuo può facilitare l’apprendimento. Pur comprendendo le ragioni sottostanti questa teoria, da un punto di vista pratico, non riusciamo a comprendere come sia possibile progettare un percorso formativo che deve essere preceduto da una attenta analisi della personalità dei singoli discenti e deve adattarsi alle singole esigenze.
La teoria delle intelligenze multiple, sviluppata da Howard Gardner, si focalizza sul fatto che gli individui hanno diversi punti di forza e abilità in diverse aree, come quella linguistica, logico-matematica, musicale e visuo-spaziale. Secondo questo modello, gli individui possono avere una preferenza per una, o più, di queste aree e adattando il metodo di insegnamento ai punti di forza di un individuo è possibile massimizzare l’apprendimento. Dobbiamo considerare che, se ci riferiamo alla formazione aziendale, diventa molto arduo trovare un approccio formativo che possa andare incontro alle diverse abilità individuali.
Come abbiamo visto, nella maggior parte degli studi, la prima distinzione che viene fatta è quella che riguarda i canali di comunicazione: al canale uditivo (o alle parole) viene attribuita l’efficacia più bassa, al canale visivo un valore intermedio, mentre a quello cinestesico viene assegnata la più alta percentuale di efficacia.
L’altra distinzione riguarda l’apprendimento passivo e quello attivo, inserendo nella prima fattispecie metodologie come la lettura o i video e nella seconda tutte le attività che comportano delle attività, sperimentazioni o interazioni con l’utente.
Secondo alcuni studi, l’ordine di efficacia attribuita alle diverse modalità didattiche, dalla più bassa alla più alta, è la seguente:
- Letture / testi
- Video / schemi visivi/lezione frontale
- Dimostrazioni
- Discussioni
- Sperimentazione / prove pratiche/simulazioni
- Insegnare agli altri / condivisione di contenuti propri
Questa “classifica” viene spesso accompagnata da percentuali che indicano il livello di apprendimento correlato a ciascuna metodologia. Ma non ci sembra corretto generalizzare troppo poiché una lettura, anche se posta nel gradino più basso di questa classifica, può cambiare la vita.
In generale, anche se non esistono prove certe a tal proposito, potremmo riconoscere che gli individui abbiano preferenze diverse per quanto riguarda il loro modo di apprendere, ma questo non basta: è importante considerare altri fattori che possono influenzare l’apprendimento, come la materia di studio, la qualità dell’insegnamento, la motivazione e l’impegno dell’individuo. Come abbiamo già sottolineato in altri articoli, potrebbe essere più utile concentrarsi su questi fattori piuttosto che cercare di adattare i metodi di insegnamento al presunto stile di apprendimento di un individuo; anche perché il confine tra uno stile di apprendimento e l’altro non è così chiaro. Inoltre, pur riconoscendo l’indubbia validità di alcune di queste teorie sull’apprendimento, ci sembra che arrivare a stabilire delle precise percentuali di efficacia sia qualcosa di eccessivo.
Consideriamo, inoltre, che ciascun canale non è mai “allo stato puro”. Ad esempio, il canale uditivo, quello a cui viene attribuita l’efficacia minore e che dovrebbe porre il discente in un ruolo passivo, può, in realtà, essere arricchito con elementi di altri canali: attraverso le parole è possibile costruire delle vere e proprie rappresentazioni visive ed agire anche sulla sfera emozionale dell’ascoltatore. Pensiamo ad un bel libro di narrativa, che riesce a coinvolgerci e farci vivere forti emozioni, come se ci trovassimo realmente all’interno delle scene del libro. Si tratta solo di parole ma, evidentemente, un uso sapiente delle parole può rendere l’apprendimento molto efficace. Eppure, le letture vengono quasi sempre collocate nel gradino più basso dell’efficacia formativa.
Per quanto riguarda il ruolo attivo o passivo del discente, sappiamo bene che esso è determinato dall’applicazione di una metodologia piuttosto che un’altra. Generalmente, si assume che le attività interattive attribuiscano al discente un ruolo attivo, mentre la lezione frontale pone l’ascoltatore in un ruolo passivo.
Anche in questo caso, occorre precisare che a fare la differenza è la qualità del contenuto e la modalità di esposizione; poiché, come capita molte volte, si può assistere a contenuti altamente interattivi che non portano a reali risultati di apprendimento o, al contrario, a lezioni frontali in cui la capacità espositiva del docente è in grado di fare la differenza.
Ci troviamo, dunque, su un terreno molto instabile in cui è possibile dire tutto e il contrario di tutto. Gli studi effettuati, inoltre, hanno rilevato una scarsa correlazione tra stile di apprendimento e qualità dell’apprendimento. Proprio per questa ragione, potrebbe essere più importante considerare altri fattori che possono influenzare l’apprendimento, come la materia di studio, i contenuti da trattare, la qualità dell’insegnamento, la motivazione e l’impegno dell’individuo.
Nonostante ciò, in qualità di progettisti della formazione, è sempre utile soffermarsi a ragionare su tutti questi aspetti, per avere la consapevolezza che l’adozione di un solo stile, o di un particolare format, può influenzare in modo significativo il risultato ottenuto in termini di apprendimento. In fase di progettazione, dunque, è sempre meglio utilizzare uno stile espositivo che utilizzi un’ampia varietà di metodologie.